I procedimenti al bicromato

Senza timore di essere smentiti si può dire che con queste tecniche la “fotografia”, nel senso etimologico del termine, si realizzi come mezzo fotochimico perfettamente duttile in cui le possibilità della tecnica si uniscono e si integrano con le idee e la fantasia dell’autore.

I Bicromati (detti anche semplicemente “cromati”) sono sali dell’acido cromico. Quelli utilizzati in fotografia sono: il bicromato di potassio, di sodio e di ammonio, tutti con caratteristiche ed effetti analoghi.

I primi studi pubblicati sui bicromati risalgono al 1839, e si devono allo scozzese Mungo Ponton. Gli studi furono, poi, ripresi negli anni ‘50 da H. Fox Talbot e quindi da Alphonse Poitevin cui si devono le prime applicazioni pratiche fondamentali.

Cerchiamo di spiegare, brevemente, il meccanismo chimico su cui si basano i procedimenti al bicromato.

I bicromati sono di per sé insensibili all’azione della luce; se però vengono mescolati ad una sostanza colloide come la gelatina, la gomma arabica, l’albumina, la gomma lacca, ecc. questa mescolanza diviene un sistema fotosensibile.

La proprietà che viene utilizzata in fotografia ed in fotomeccanica è la seguente: se noi mescoliamo un bicromato con una sostanza organica (come la gelatina, la gomma arabica, l’albumina ecc.) ed esponiamo questo preparato alla luce, esso diventa gradatamente insolubile in maniera proporzionale alla quantità di luce ricevuta. La gelatina o la gomma, detto in breve, induriscono e non possono più essere sciolte dall’acqua come prima dell’esposizione alla luce.

Le sostanze organiche più utilizzate sono quelle colloidi, ed in particolare, come si è già accennato, la gelatina e la gomma arabica. Anche se non mancano procedimenti in cui vengono utilizzati altri colloidi come l’albumina, la gomma lacca, l’alcool polivinilico, ecc.; la gelatina e la gomma arabica occupano senz’altro un posto particolare.

Dopo il trattamento con acqua la gelatina o la gomma arabica si scioglieranno nelle parti non esposte alla luce, resteranno invece insolubili, e quindi aderenti al supporto nelle zone esposte: avremo, in questo modo un’immagine costituita da uno strato di gelatina (o gomma arabica o altro colloide) sul supporto cartaceo. L’immagine sarà in rilievo: più spessa nelle zone maggiormente esposte, più sottile nelle altre.

Un altro effetto prodotto dall’esposizione alla luce avrà applicazioni molto importanti: la gelatina insolubilizzata ha una notevole affinità per gli inchiostri grassi, al contrario di quella non esposta che, assorbendo acqua, li respinge.

Su questo fenomeno (analogo, per intenderci, a quello che accade nella litografia) si baseranno numerosi procedimenti fotografici e fotomeccanici.

Essenzialmente il fenomeno di insolubilizzazione si produce poiché l’esposizione alla luce, in presenza del colloide, provoca la trasformazione del bicromato in ossido di cromo. Questa trasformazione ha come effetto secondario quello di rendere insolubile il colloide (gelatina o altro) utilizzato. Nella zone non esposte il bicromato resta inalterato e il colloide, quindi, resta solubile.

Questa è, dunque, la descrizione sommaria del fenomeno su cui si basano i procedimenti al bicromato. Per questa ragione essi vengono chiamati anche procedimenti ad “insolubilizzazione”.

I più famosi ed importanti furono, in fotografia il procedimento al carbone , la “gomma bicromata ”, il procedimento agli inchiostri grassi (procedimento all’olio e bromolio) e le tecniche fotomeccaniche.

Una particolarità delle stampe realizzate con i colloidi bicromati consiste nel fatto che possono presentarsi in una grande varietà di colori. Questo è naturale dal momento che i colloidi sono di per sé incolori e per ottenere l’immagine visibile vengono addizionati di pigmenti colorati: il nerofumo fu utilizzato soprattutto all’inizio (ma anche successivamente) per ottenere toni neri; ben presto si iniziarono ad utilizzare altri colori.

I procedimenti al carbone ed alla gomma sono per questo anche chiamati, in generale, “procedimenti ai pigmenti”.

Nell’epoca di massima utilizzazione di questi materiali alcuni fabbricanti arrivarono ad offrire carte ai pigmenti con una possibilità di scelta tra 50 colori diversi; a questo si aggiunga, come si è detto, la possibilità di preparare alcuni tipi di carte in maniera autonoma.

Tra i colori preferiti, tuttavia, specie per la carta al carbone, vi saranno i toni bruni, che, come è noto, erano tra i preferiti nel XIX secolo.

Nella carta al carbone si utilizza uno strato di gelatina colorata steso su carta. Al momento dell’uso il foglio viene sensibilizzato con una soluzione di bicromato: una volta asciutto il foglio è pronto per l’uso e l’esposizione alla luce insolubilizza lo strato in maniera proporzionale alla sua quantità e lo sviluppo viene quindi fatto semplicemente immergendo la stampa in acqua calda dove le zone restate solubili si sciolgono.

In realtà la tecnica precisa richiede il trasferimento dell’immagine su un supporto definitivo, ma non vogliamo scendere in particolari troppo tecnici che esulano da queste note. L’importante è sapere che una stampa al carbone (o al pigmento che dir si voglia) è costituita in definitiva dal supporto cartaceo su cui poggiano i pigmenti trattenuti sulla carta dallo strato di gelatina insolubile. La sua stabilità è molto superiore a quella delle normali stampe argentiche in bianco e nero.

La gomma arabica è una resina estratta da una varietà di acacie. Commercialmente può presentarsi in forma di pezzi irregolari lentamente solubili in acqua, oppure in polvere più o meno bianca. Viene comunemente utilizzata come colla o anche per preparazioni alimentari. Una differenza importante rispetto alla gelatina risiede nel fatto che la gomma è solubile in acqua fredda mentre la gelatina lo è solo in quella calda, oltre naturalmente alla sua origine vegetale e non animale.

Benché la gomma come colloide fosse stato utilizzato negli anni ‘50-’60, all’epoca degli studi sul carbone, esso iniziò ad essere utilizzato elettivamente in epoca pittorialista (1890-1920/30).

Nel procedimento alla gomma sul foglio di carta viene steso con l’aiuto di un pennello uno strato di soluzione di gomma arabica colorata ed addizionata di bicromato. La stampa esposta viene sviluppata semplicemente immergendola in acqua a temperatura ambiente. Le particolari caratteristiche adesive della gomma permettono ampi interventi da parte dell’operatore: si può rendere più chiara l’immagine semplicemente agitando leggermente l’acqua o aumentandone leggermente la temperatura, si può versare un getto d’acqua per schiarire dei punti localizzati o intervenire con un pennello per togliere un eccesso di colore.

Possono essere aggiunti altri strati di gomma colorata (stampa multipla) per eseguire delle sovrastampe allo scopo di aggiungere ulteriori sfumature, per rendere più profonde e ricche di dettaglio le ombre o le luci dell’immagine. Possono essere eseguiti ulteriori passaggi con gomma colorata con pigmenti diversi in modo di ottenere delle stampe policrome.

Il procedimento, insomma, è analogo alla pittura: durante lo sviluppo si può agevolmente togliere il colore in eccesso, mentre con la tecnica della stampa multipla si possono aggiungere gradazioni mancanti o altri colori.

Questa grande malleabilità, unitamente alla relativa facilità ed economicità della preparazione, fanno della gomma bicromata senz’altro una delle tecniche più libere e creative della fotografia.

Il procedimento agli inchiostri grassi, detto anche all’olio, sfrutta la caratteristica, propria della gelatina insolubilizzata, di essere affine alle sostanze grasse e quella, propria di quella solubile, di assorbire acqua e di respingerle.

Un foglio di carta gelatinata e sensibilizzato con bicromato viene esposto quindi lavato in acqua fredda (in modo di lasciare assorbire acqua alla gelatina senza scioglierla).

Dopo questo trattamento la stampa viene posta su un piano e, ancora bagnata, inchiostrata con un inchiostro di tipo litografico: questo andrà ad aderire, per così dire automaticamente, nelle zone insolubilizzate, mentre sarà respinto dalla gelatina solubile rigonfia d’acqua.

Si tratta di una tecnica corrispondente alla litografia. L’inchiostrazione può avvenire con un rullo o con pennelli, di varia foggia, per ottenere gli effetti più vari.