Kalokagathia: Arte e Tecnica

Mostra fotografica
Vernissage 22 novembre 2014
CIRF (Centro Ricerche sull’Immaginario Fotografico)
Roma – Via Nansen 48

Le opere di Lorenzo Scaramella – ha detto nella presentazione Maria Pia Rosati – sorprendono sempre, anche coloro che da anni seguono la sua ricerca artistica, per la intensa espressività  che egli raggiunge attraverso antiche tecniche di stampa che ben rispondono ‘all’intenzion dell’arte’.In questo momento di crisi del mondo occidentale, crisi spirituale, crisi della forza vitale, dell’élan vitale direbbe Bergson, di cui le crisi sociali, politiche ed economiche non sono che gli aspetti superficiali, sentiamo l’urgenza di contattare la Bellezza, quella dostoevskijana ‘bellezza che salverà il mondo’ e che è proprio la kalokaghathia greca che L. Scaramella ha saputo vedere, con lo sguardo dell’anima nelle sculture greche e rinascimentali  e riproposto con straordinaria potenza artistica e creativa abilità tecnica.

La bellezza è danza delle potenze archetipali, potente armonia che tutto abbraccia in una grande ‘coincidentia oppositorum’, è manifestazione del Grande Mistero dell’Universo, che ci parla attraverso ‘una foresta di simboli’ che si esprime ad alte grida nelle meraviglie del visibile e ci sussurra da invisibili profondità.

Le parole di Lorenzo Scaramella ci hanno permesso di contattare con grande intensità il miracolo dell’arte fotografica.

«Dico spesso di non riconoscere neanche io le mie foto o più precisamente addirittura di non rendermi conto di chi abbia fatto quell’inquadratura. In effetti mi capita molto spesso di passeggiare a lungo in prossimità di un certo soggetto assorto in pensieri vari, poi dopo un’ora o anche più di cominciare a scattare.

Cos’è successo? Qualcosa è cambiato in me? Ma potrebbe essere diverso: qualcosa è cambiato o è venuto alla “luce” nel rapporto tra me ed il soggetto.Sarei propenso per questa seconda interpretazione.

La fotografia è fatta con l’obiettivo (= oggettivo, aggettivo sostantivato), non sembrerebbe quindi dipendente dal soggetto fotografante. Ma è proprio vero?

Si dice “il soggetto della foto” ma anche il fotografo è “il soggetto che fotografa”. Ci troviamo, insomma di fronte ad un’unica azione con due soggetti.  Non può, questo, suggerirci l’idea che tra i due si instauri nell’atto della foto un qualche rapporto, seppur difficile da descrivere?La foto è ascrivibile allo spazio che ci circonda, che, per convenzione è quello euclideo: ogni evento è descrivibile da tre coodinate,(…) ma anche nella fotografia esiste la (una) coordinata “misteriosa”: il Tempo.

Ma quale importanza riveste il tempo in un’immagine, per definizione, fissa? Eppure se non ci fosse il tempo non ci sarebbe neanche quell’immagine.Ma poi esiste veramente questo Tempo?….

La fotografia ha un punto di forte contatto con la scultura, e non solo: fissa nel tempo l’anima. Il Tempo esiste solo per l’uomo, solo per ciò che si evolve, solo per ciò che è caduco ed impermanente. Di fronte all’Eterno il Tempo non conta più, semplicemente perchè non esiste.Il Tempo è dell’Uomo. E l’uomo ha bisogno di distruggere per creare, egli trasforma, ma per creare la nuova forma deve distruggere quella vecchia.Nuovo e vecchio sono due parole che non esistono nell’Eterno, nell’Essere.

Qui forse è la chiave dell’interpretazione del fuoco dell’arbusto sul Monte Sinai che ardeva senza bruciare, esso era il fuoco di Dio, dell’Essere, dell’Unico che può creare senza distruggere. »

Nella tavola rotonda Nuovi orizzonti aperti alla Transdisciplinarità che ha accompagnato il vernissage Lorenzo Scaramella si è soffermato sul valore e sul significato profondo delle tecniche fotografiche:

«Pur se i soggetti sono gli stessi, e varia solo l’inquadratura, la modalità dello sviluppo crea differenze notevoli. Lo sviluppo è il momento in cui nasce l’immagine ripresa, cioè prende corpo l’immagine che abbiamo scattato. Fisicamente il sale d’argento diventa nero. Ne deriva che per far nascere l’immagine bisogna passare attraverso la nigredo, ma non solo; soltanto quello che annerisce è destinato a diventare immagine, ciò che non annerisce è destinato (nella stampa) a diventare nero.

Un particolare tanto più è annerito tanto più è destinato a divenire bianco.

La stampa è data quindi da ciò che prima è annerito, di più o di meno, dando origine al bianco e via scendendo, a tutta la gamma del grigio, ma anche da ciò che non è annerito e darà origine al nero assoluto.

Ne deriva un’osservazione importante: immaginando la stampa, l’immagine, come un mondo, risulta come tutte queste componenti siano necessarie per la sua completezza: il bianco assoluto, i grigi, e il nero assoluto.

Il compito dell’artista è nel plasmare nel dare il giusto posto a tutte queste sfumature. Senza la “ratio” dell’artista tutto sarebbe mescolato in un insieme caotico; mediante l’artista tutto prende forma ed ogni cosa (sfumatura) va al suo posto, ha il suo senso nell’equilibrio generale dell’immagine.Il procedimento fotografico può essere riassunto, simbolicamente (ma anche in pratica), in un cammino verso la luce. “Fotografia” etimologicamente significa indica proprio la possibilità di esprimersi attraverso la luce.

La luce è necessaria perché senza di essa non ci sarebbe immagine, la chimica lo è perché, senza, non la si potrebbe fermare.Così la fotografia viene in qualche modo a coincidere con un processo alchemico. Storicamente i legami tra fotografia e alchimia sono intuitivamente evidenti: “solve et coagula”, nella nascita di un’immagine c’è una fase di contatto con il soggetto, una sua distruzione ed elaborazione ed infine la sua rinascita nella stampa.

In qualche modo dobbiamo ammettere che ogni immagine che produciamo è, in qualche modo, un nostro autoritratto; così possiamo dire che ogniqualvolta è una parte di noi ad essere distrutta, elaborata ed a nascere di nuovo.

Mi hanno sempre interessato tutti i sistemi atti a produrre immagini; ma quello che ha sempre attirato di più il mio interesse è stato quello fotochimico.Il sistema fotochimico (o se vogliamo quello fotografico) è l’unico in cui dall’immagine finale deve essere sempre allontanata ciò che la ha generata. Ancora di più i prodotti chimici cui deve la sua nascita, se non allontanati, diventerebbero la causa della sua degenerazione.

La tecnica stessa “negativo – positivo” presenta strane e significative concordanze e rassomiglianze con il processo alchemico.

Nella prima fase, progettuale dell’idea grafica, c’è la ripresa cui segue lo sviluppo in cui la pellicola annerisce: le luci diventano nere, il soggetto viene invertito, è la fase della “luce nera” raffigurata nella melancolia di Durer; questa fase può essere assimilata alla alchemica “nigredo”.

Nella fase di stampa il lavoro dell’Uomo porta all’inversione del negativo e ciò che era tenebra diventa luce: è la fase dell’”albedo”; e tanto più una zona era scura tanto più diventa luminosa nella stampa, quasi a significare che nelle parti più oscure spesso si celano quelle più chiare e splendenti.” 

Da notare come il passaggio, attraverso lo sviluppo iniziale, la nigredo, sia indispensabile per differenziare le zone di bianco, grigio e nero tra loro.

L’artista deve agire in tutti i momenti, all’inizio mediante la ripresa, individuando ciò che dovrà essere bianco, grigio o nero. Durante lo sviluppo per sorvegliare ed agire perchè l’annerimento sia giusto, ed, infine, nella stampa per trarre le conclusioni e dare a tutte le zone il loro giusto peso e posto nell’equilibrio generale.

Forse quest’ultimo è il momento più “raziocinante” del processo.»