Pubblicazioni

Lorenzo Scaramella
“Fotografia”, Storia e riconoscimento dei procedimenti fotografici
Edizioni De Luca, Roma, 1999

Nella serie “Materiali della cultura Artistica”, collana diretta e curata da Gabriele Borghini, Istituto Centrale per il Catalogo e la Conservazione. 


Il libro ripercorre la storia della Fotografia, soprattutto dal punto di vista tecnico e con particolare riferimento ai procedimenti di stampa, come potenzialità espressiva.

Fin dalla sua nascita la fotografia suscitò le più diverse emozioni. Chi salutò l’evento come epocale, chi disse che non sarebbe durata che pochi anni per poi sparire come una delle tante mode, chi fu completamente affascinato dalle sue possibilità, chi la disprezzò….. Insomma ben pochi furono gli indifferenti allo “specchio dotato di memoria”.

Probabilmente neanche l’introduzione della stampa a caratteri mobili nel XV secolo, aveva suscitato reazioni analoghe.

Con la Fotografia l’uomo si trova di fronte, forse, alla prima invenzione “moderna”, destinata in un modo o nell’altro a sconvolgere la sua vita, la sua visione del mondo.

Il nuovo strumento permetteva uno sguardo che “penetrava” le cose, le rappresentava in una maniera inaudita sino ad allora, affatto singolare: era la realtà stessa che si autoriproduceva mercé “un raggio di luce ed un veleno”; in questo modo era quasi magicamente sottratta alla caducità del tempo lineare e fissata in uno spazio-tempo nuovo, quasi metafisico, costruito consciamente o inconsciamente dall’artista.

La fotografia permetteva insomma quasi il passaggio in un’altra “dimensione” un poco come lo specchio di Alice.

Ben lungi dall’essere “meccanica riproduzione della realtà”, la Fotografia ne permetteva una interpretazione quasi ambigua con evidenti sconfinamenti nel linguaggio simbolico e mitico, probabilmente anche per i suoi legami con l’alchimia.

I primi grandi fotografi della storia e molti artisti ne furono ben coscienti.

Dal momento della sua nascita, tuttavia la Fotografia iniziò rapidamente a trasformarsi in un fatto industriale, così le diverse tecniche degli inizi e molte raffinate tecniche di stampa messe a punto nella seconda metà dell’Ottocento lentamente caddero in disuso, sottraendo le migliori possibilità espressive.

Questa decadenza formale si consumò dopo la fine della prima guerra mondiale. Le ragioni furono varie ma tutte riconducibili alla massificazione del linguaggio iconografico.

I fotografi si trasformarono, come dice A. Gilardi nella sua “Storia sociale della Fotografia”, da creatori di immagini a consumatori di materiale sensibile (prodotto ormai solo dalle industrie).

L’attimo della ripresa divenne un fatto puramente meccanico che veniva concretizzato poi materialmente dal laboratorio in una stampa; capovolgendo l’antica progettualità per cui la ripresa era il primo passo nella realizzazione dell’idea grafica che sarebbe stata oggettivizzata nella stampa.

“…un negativo non è altro che un passaggio intermedio prima della stampa….La realizzazione di una stampa nasce dalla combinazione unica di un’esecuzione meccanica e di un’attività creativa. Il processo è meccanico poiché il lavoro finale è determinato dal contenuto del negativo. Sarebbe comunque un grave errore presumere che la stampa sia semplicemente una riflessione delle densità del negativo in forma positiva. I valori della stampa non sono assolutamente stabiliti dal negativo, non più di quanto il contenuto del negativo sia determinato dalle caratteristiche del soggetto……Nel processo di stampa consideriamo il negativo come un punto di partenza, che determina gran parte dell’immagine finale, ma non tutto. Come diversi fotografi possono interpretare un soggetto in diversi modi, a seconda del punto di vista personale, così da negativi identici possono derivare stampe diverse.”(1)

Quanto citato è tratto da un famoso libro di un altrettanto famoso fotografo americano: Ansel Adams. Tuttavia nell’accezione comune queste idee sono capovolte al punto che una stampa è considerata tanto migliore quanto più riproduce “fedelmente” il negativo da cui è tratta. Ma cosa significa “fedelmente”?

Lo stretto rapporto tra contenuto e strumenti operativi, di cui l’occhio è il principale (ma non unico), ci ricorda la particolare caratteristica simbolica della visione che si dà sempre come interpretazione e costruzione attiva della realtà.

La fotografia, in tale senso, è parte tra interno ed esterno, tra ciò che è in divenire e ciò che è realizzato, tra visibile ed invisibile. Ed è, naturalmente, memoria, raccordo tra ciò che è adesso, è stato e sarà. Ci ricorda che il tempo oltre a dimensione fisica lo è anche dell’Anima e dello Spirito e che esso può essere sincronico ma anche diacronico, o anche, per tornare alla famosa frase di A. Einstein: “un’ostinata illusione”.

Solo a partire da tali aspetti si può entrare nel Mondo della Fotografia, proprio come nel Paese delle Meraviglie.

Maria Rita Albanesi


1 A. Adams, “The Print”, New York 1983. Trad. It. “La Stampa”, Bologna 1988, p.1.